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Pubblicato da La Redazione il 27 Aprile 2009

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Pubblicato da La Redazione il 27 Aprile 2009

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La vedova di un fumatore morto di cancro ha messo ko la Philip Morris: la Corte Suprema degli Stati Uniti ha messo fine a un braccio di ferro decennale tra il gigante del tabacco e Mayola Williams, una donna dell'Oregon che aveva accusato l'industria delle sigarette di non fornire informazioni sufficienti sui rischi da fumo. I giudici di Washington hanno respinto, senza dissensi e senza fornire motivazioni, l'ultimo appello della multinazionale lasciando in piedi una sentenza che condanna la Philip Morris a pagare danni per 79,5 milioni di dollari (saliti a 145 milioni con gli interessi). La decisione della Corte - la seconda sul caso dell'Oregon - è con ogni probabilità l'epilogo della vicenda che ha visto protagonista la vedova di Jesse Williams, un custode di Portland che aveva cominciato a fumare negli anni '50 nell'esercito ed è morto nel 1997 a 67 anni per un tumore al polmone. La donna aveva avviato, poco dopo la morte del marito, l'azione legale contro la Philip Morris, sostenendo che la società andava ritenuta responsabile per aver lasciato credere ai fumatori che i propri prodotti - e in particolare le Marlboro aspirate dal marito per oltre 40 anni - non creano fenomeni di dipendenza. Due anni fa la stessa Corte Suprema aveva respinto, sia pure di stretta misura, la richiesta di maxi-risarcimento della Williams argomentando che ripagare la vedova, «una persona non direttamente danneggiata, potrebbe creare precedenti e standard difficili da gestire nel futuro».
Era stata una boccata d'ossigeno per i produttori di tabacco, ma una vittoria di breve durata anche perchè i giudici di Washington si erano rifiutati di porre paletti per future cause, tant'è che la Williams era tornata alla carica. Lo stato dell'Oregon si è affiancato in questi anni alla vedova e riceverà - se la vicenda non avrà altri sviluppi giudiziari - il 60% del risarcimento che verrà devoluto a un fondo per le vittime di crimini violenti. Un giudice aveva ritenuto Philip Morris colpevole una prima volta nel 1999 e la Corte suprema dell'Oregon nel 2002 aveva respinto la richiesta di appello. La stessa decisione è arrivata adesso dai giudici di Washington, nei quali l'industria del tabacco confidava per una sentenza che mettesse un freno ai maxi-risarcimenti. Il verdetto di oggi apre la strada a analoghi pronunciamenti in altre azioni legali avanzate da vittime del fumo: un mese fa a Fort Laderdale un giudice aveva condannato la Philip Morris a pagare otto milioni di dollari per la morte per cancro ai polmoni di un fumatore della Florida. Il risarcimento era stato accordato da una giuria a Elaine Hess, la vedova di Stuart Hess, morto nel 1997 a 55 anni dopo aver fumato per decenni. La Hess aveva chiesto 130 milioni di dollari.
Il caso Hess era stato il primo a andare in giudizio dopo che nel 2006 la Corte Suprema della Florida aveva annullato un maxi-risarcimento da 145 milioni di dollari ottenuto da un gruppo di fumatori nel cosiddetto 'caso Englè. La Corte aveva stabilito che ogni singolo caso sarebbe dovuto esser giudicato singolarmente ma aveva avallato il parere della giuria che le aziende del tabacco avevano colpevolmente venduto prodotti da fumo pur sapendo che erano pericolosi.

(fonte leggo.it)

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