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Pubblicato da La Redazione il 27 Aprile 2009

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BLOG IN "RESTAURO"

Pubblicato da La Redazione il 27 Aprile 2009

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Loredana, 47 anni, e Valentina, 20: avevamo un box, ci hanno tolto anche quello

MILANO - Un mese in strada. Un me­se dormendo su sedili di una Smart. Lei, Loredana Minopoli, 47 anni e un po­sto di lavoro mangiato dalla crisi, e sua figlia Valentina, 20 anni e un lavoro co­me estetista che finora ha tenuto a galla tutte e due. Il loro appartamento, dopo anni di carte bollate, è stato venduto e dal 19 di marzo è iniziato il loro infer­no. Lo sfratto, qualche notte dormendo da amici, e poi la loro auto, una Smart gialla «con i sedili che rompono la schie­na, il freddo che non fa dormire e la pau­ra di restare sole tutta la notte chiuse in quella scatola». Ci vivono da un mese. Doveva essere una soluzione di fortuna, per non pesa­re sulle spalle di qualcuno perché — di­ce Loredana — «lei e la sua Valentina non hanno mai rubato, o sparato, o ma­gari ucciso», perché sono «bravagen­te ». Lo ripete rigirando le dita sul croci­fisso dorato che le pende dal collo. È questa piccola croce che — sostiene — protegge le poche ore di sonno e prima o poi le aiuterà.

Poi le cose non sono cambiate, e la difficoltà, la paura, l’imba­razzo di un momento si sono trasforma­te in una strada senza fine. L’auto è di­ventata una casa parcheggiata tutte le notti tra il supermarket di via Dei Missa­glia e la caserma Gratosoglio dei carabi­nieri. «Perché a Milano c’è da aver pau­ra, poi c’è Valentina che è una bella ra­gazza di 20 anni e se ne sentono di tutti i colori, a Milano». Da questo parcheg­gio con l’erba verde che sbuca tra le mat­tonelle, poi, si vede la sua casa. Quella che ha lasciato in fretta e furia il 19 di marzo quando è arrivato l’ufficiale giu­diziario con l’ordine di sfratto. Da quel giorno lì, da quella mattina fresca con il primo sole, Loredana e Valentina hanno dovuto vivere senza niente. Chiuse nel loro loculo giallo che, raccontano, «quando piove non c’è modo di dormi­re, che quando fa freddo bisogna sve­gliarsi e mettere in moto per non conge­lare ». Valentina fa l’estetista. Lo stipen­dio è poco, «ma è l’unica cosa che con­sente a tutte e due di sopravvivere sen­za sembrare due barbone». E non fosse per i sette chili persi in 40 giorni e le oc­chiaie da nascondere con il correttore, la loro vorrebbe essere la vita di prima: ci sono i bar, i centri commerciali, c’è sempre la casa di qualche amico per una doccia. «Al lavoro l’hanno capito— racconta la madre —. Ma non glielo fan­no pesare».

Quanto al suo lavoro, quel­lo come addetta alle pulizie in una casa di cura di Milano, è terminato il 17 gen­naio. La cooperativa non ha rinnovato il contratto e la signora Loredana è diven­tata di troppo. Quanto alla casa, l’appar­tamento di proprietà dell’Inail in via Ni­cola Romeo è stato venduto per 148 mi­la euro. La signora Minopoli era morosa da quando il marito era sparito, l’altro figlio trasferito a Savona e l’affitto quasi raddoppiato. «Era diventata troppo grande, troppo costosa — raccontano —. Abbiamo chiesto una sistemazione più piccola, non c’è stato niente da fa­re ». Così dopo le carte bollate è arrivato lo sfratto. «Non ci hanno dato neppure il tempo di provarci, di cercare davvero una nuova casa — prosegue Loredana —. Adesso come faremo, ho chiesto, ma niente, niente». In Comune le hanno fatto fare doman­da per una casa popolare. Le hanno con­sigliato di non farsi illusioni perché per entrate nella graduatoria del prossimo settembre ci vorrebbe qualche invalidi­tà, qualche figlio minore, magari anche un anziano a carico, un passaporto stra­niero o un problema di abusi, perché aspettano già 20 mila famiglie e per lo­ro, per la «bravagente», il punteggio è risicato. Le hanno detto di provare nei dormitori dei barboni. Pieni anche quel­li. Poi Loredana ha scritto al sindaco Mo­ratti, e un suo assistente l’ha invitata a ripetere la trafila con i servizi sociali. «Ci hanno abbandonate, come si fa ad andare avanti così». Per ora c’è la strada e i sedili della Smart di Valentina che neppure hanno i ribaltabili, ma almeno le hanno fatte arrivare fin qui. Un mese intero, aspettando che il «buon Dio» si­stemi le cose, che alla fine questa Mila­no distratta torni a ricordarsi di loro.

(fonte corriere.it)

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